lunedì 31 dicembre 2007

14. L'"Agnus Dei" di De Gregori

L'iconografia ci presenta il Cristo nel simbolo zoomorfo dell'agnello. L'origine ebraica di questa rappresentazione è chiara: il popolo d'Israele ha sempre vissuto di pastorizia, al punto di correre il pericolo di idolatrare i propri armenti, i propri greggi, i propri animali. Celebri sono i richiami dei Salmi a tal proposito; noi abbiamo citato ad abundantiam in altre occasioni il Salmo 23 (22), nel quale lo stesso salmista si identifica in una pecora che va al pascolo e che dipende totalmente dal proprio pastore, che è Dio, fuori della metafora.
Nel Cristianesimo, si giunge all'apogeo dei paradossi: Cristo fa coincidere in sé gli opposti e così redime la creazione. In lui morte e vita si legano (passando per l'una si giunge all'altra), e questo passaggio, che era la PeSaK ebraica, diventa qui - nel Cristo - un esodo verso l'aldilà, quel mondo Iperuranio che per Platone non era raggiungibile che per l'anima. Cristo è servo e Signore, a un tempo e, insegnando a farsi servi gli uni degli altri, egli realizza la propria signoria sul peccato (amartìa), sulla debolezza, sulla morte; ma soprattutto Gesù Cristo è l'Uomo-Dio, colui che essendo di natura divina e assumendo quella umana redime l'uomo, signore del creato. Il Salmo 8 recita: "Dio hai fatto l'uomo poco meno degli angeli [...]/ tutto hai posto sotto i suoi piedi;/ tutti i greggi e gli armenti,/ tutte le bestie della campagna: gli uccelli del cielo e i pesci del mare [...]". E', tuttavia, un altro il paradosso più emblematico per la nostra riflessione, indubbiamente raffigurato con più frequenza nell'arte scultorea, pittorica, musiva, nei versi della poesia... E si pensi anche alla musica: le messe musicate dai più noti artisti hanno colorato di emozioni le invocazioni di pietà dell'uomo rivolte a Dio, proprio incentrandosi su quell'eccellente paradosso, legato ancora una volta al mondo della pastorizia: Cristo stesso è l'Agnello e, al tempo stesso, è il buon pastore! Un pastore che ama il suo gregge al punto di farsi - lui stesso - Agnello... e portare (questa è la traduzione corretta di tollo, e non 'togliere' come viene erroneamente ripetuto), come un giogo, su di sé il peccato (e non 'i peccati') dell'uomo.

E' appena uscito "Prendere e lasciare", ultimo album di Francesco De Gregori. Il testo di un brano ivi contenuto - "L'agnello di Dio"- è dunque interessante per noi. Intanto, vale la pena soffermarsi sulla grafia e vedere che 'agnello' è, nell'album del cantautore, scritto con caratteri minuscoli. l'averlo scritto con la "A" maiuscola sarebbe stato un certo riferimento al Cristo. Inoltre, leggendo il testo, nel suo procedere, siamo sempre più sicuri che l'oggetto del riferimento è proprio l'uomo, quel particolare uomo che si fa agnello, ma che è - in realtà - un lupo feroce (Evangelo secondo Matteo, Mt 7, 15).

Questo articolo di Dario Coppola è tratto dalla rubrica "Religione e Società", da lui curata per il Corriere di Torino e della Provincia, ed è stato pubblicato il 26/10/1996

domenica 9 dicembre 2007

13. La nuova Atlantide di F. B.

"Vivo come un cammello in una grondaia/ in questa illustre e onorata società!/ e ancora, sto aspettando un'ottima occasione/ per acquistare un paio d'ali e abbandonar il pianeta./E cosa devono vedere ancora gli occhi e sopportare?/ I demoni feroci della guerra, che fingono di pregare!/ Eppure, io so bene che dietro a ogni violenza esiste il male.../ se fossi un po' più furbo, non mi lascerei tentare./ Come piombo pesa il cielo questa notte./ Quante pene e inutili dolori."
(testo integrale di Come un cammello in una grondaia)
Con questa riflessione esistenziale traboccante di visioni, alla maniera di Rimbaud, ed evocatrice dello spleen di baudelairiana memoria, riprende verso la sua ultima tappa questa prima escursione nei mondi vagheggiati da Franco Battiato, che ama viaggiare di notte, con la sua fervida mente e col suo desiderio di pace interiore, invocando - alla maniera dei salmi ebraici - una presenza misteriosa che lo protegga:
"Difendimi dalle forze contrarie,/ la notte, nel sonno, quando non sono cosciente/ quando il mio percorso si fa incerto./ E non mi abbandonare mai... / Non mi abbandonare mai!/ Riportami nelle zone più alte/ in uno dei tuoi regni di quiete:/ è tempo di lasciare questo ciclo di vite./ E non mi abbandonare mai [...] Perché le gioie del più profondo affetto, o dei più lievi aneliti del cuore,/ sono l'ombra della luce./ Ricordami come sono infelice/ lontano dalle tue leggi;/ come non sprecare il tempo che mi rimane./ E non mi abbandonare mai [...] Perché la pace che ho sentito in certi monasteri/ o la vibrante intesa di tutti i santi in festa/ sono solo l'ombra della luce".
(da L'ombra della luce)
Il viaggio dell'anima, tema filosofico e religioso che ricorre dal buddhismo all'orfismo, da Pitagora a Platone, è avventuroso come quello di un nomade:
"[...] Lungo il transito dell'apparente dualità/ la pioggia di settembre/ risveglia i vuoti della mia stanza/ ed i lamenti della solitudine/ si prolungano,/ come uno straniero non sento legame di sentimento./ E me ne andrò/ dalle città/ nell'attesa del risveglio./ I viandanti vanno in cerca di ospitalità/ nei villaggi assolati/ e nei bassifondi dell'immensità/ e si addormentano sopra i guanciali della terra./ Forestiero, che cerchi la dimensione insondabile,/la troverai, fuori città,/ alla fine della strada".
(da Nomadi)
Se nella metempsicosi l'anima vaga per reincarnarsi eternamente, durante la vita di un corpo invece, questo viaggio avviene nel sogno, nei meandri dell'inconscio, tanto scrutati da Freud:
"Ci si risveglia ancora in questo corpo attuale/ dopo aver viaggiato dentro il sonno./L'inconscio ci comunica coi sogni/ frammenti di verità sepolte:/ quando fui donna o prete di campagna/ un mercenario o un padre di famiglia./ Per questo in sogno ci si vede un po' diversi/ e luoghi sconosciuti sono familiari./ Restano i nomi e cambiano le facce/ e l'incontrario: tutto può accadere./ Com'era contagioso e nuovo il cielo.../ e c'era qualche cosa in più nell'aria./ Vieni a prendere un tè al 'Caffè de la Paix'?/ Su, vieni con me./ Devo difendermi da insidie velenose/ e cerco di inseguire il sacro quando dormo/ volando indietro in epoche passate [...]".
(da Caffè De la Paix)
Spazio e tempo perdono il loro significato quando ci si avvicina all'infinito e all'eterno... Tuttavia, per Battiato, l'arché, ciò che sta all'origine, è più vicino alla purezza destinata poi a una corruzione ineluttabile:
"Torno a cantare il bene e gli splendori/ dei sempre più lontani tempi d'oro/ quando noi vivevamo in attenzione/ perché non c'era il posto per il sonno/ perché non v'era notte allora./ Beati nel dominio della preesistenza,/ fedeli al regno che era nei cieli/ prima della caduta sulla terra/ prima della rivolta nel dolore [...]".
(da Sui giardini della preesistenza)
E questa degenerazione, questa corruzione, è dipinta favolosamente, in una visione - con cui arriviamo alla meta - che ha dell'apocalittico, intendendo con questo termine quanto ciò significa secondo il suo vero etimo (da apokalyptein, cioè rivelazione). Non va trascurato il richiamo dell'ultima canzone, che qui presentiamo, alla Qabbalah, termine che in ebraico significa ricezione e che designa un testo, appunto ebraico, di insegnamenti esoterici con influssi neoplatonici. E' tuttavia la cosmogonia esiodea ad aprirci ancora una stanza nell'immaginario palazzo incantato, dalla volta affrescata, che abbiamo visitato. Esso si trova nell'inconscio ove sono presenti, come dei dipinti, i miti che ci raccontano di Atlantide - come aveva fatto anche Platone nel Timeo e in Crizia -, quando gli dei si erano divisi i domini, e se Atene fu presa da Efesto e da Atena, Poseidone si era preso Atlantide, un'isola situata dinanzi alle Colonne d'Ercole, e s'era innamorato di Clito, una donna approdata in quel luogo splendido. Tra i figli che ebbero, Atlante, il più grande, sarebbe divenuto il re dell'intera rigogliosissima isola, piena di sotterranei segreti e ricchissima di metalli preziosi fra cui il fiammeggiante oricalco. Una catastrofe, secondo Platone, sommerse per sempre Atlantide, ma questi racconti, che ispirarono anche La Nuova Atlantide di Francesco Bacone, ci raggiungono ancora, grazie a Battiato, per parlarci dei giorni nostri:
"E gli dei tirarono a sorte./ Si divisero il mondo:/ Zeus la terra,/ Ade gli inferi, Poseidon il continente sommerso. Apparve Atlantide./ Immenso, isole e montagne,/ canali simili ad orbite celesti./ Il suo re Atlante/ conosceva la dottrina della sfera/ gli astri, la geometria/ la Cabala e l'alchimia./ In alto il tempio./ Sei cavalli alati,/ le statue d'oro, d'avorio e oricalco./ Per generazioni la legge dimorò nei principi divini./ I re, mai ebbri delle immense ricchezze,/ e il carattere umano s'insinuò/ e non sopportarono la felicità,/ neppure la felicità,/ neppure la felicità./ In un giorno e una notte/ la distruzione avvenne./ Tornò nell'acqua. Sparì Atlantide".
(testo integrale di Atlantide)

Dario Coppola

12. I territori mistici di Battiato

Gli sciamani sono così chiamati con un termine che in sanscrito designa i santoni e che si riferisce a uomini ai quali si attribuiscono capacità divinatorie e taumaturgiche; i dervisci sono invece i danzatori che ruotano sul proprio corpo per raggiungere l'estasi. Entrambi sono particolari figure religiose care a Franco Battiato. L'esigenza di un'evasione mistica e di un rifugio in luoghi spirituali, e la fuga dalla realtà quotidiana sono per lui impellenti:
"Certe notti per dormire mi metto a/ leggere, e invece avrei bisogno di/ attimi di silenzio [...] Sulle strade al mattino il troppo traffico/ mi sfianca; mi innervosiscono/ i semafori e gli stop, e la sera ritorno con/malesseri speciali./ Non servono tranquillanti o terapie ci/ vuole un'altra vita [...] Sulle strade la/ terza linea del metrò che avanza, e/ la sera ritorno con la noia e la stanchezza./Non servono più eccitanti o ideologie,/ ci vuole un'altra vita".
(da Un'altra vita)
Le dissolvenze oniriche, allusive al mito o alla letteratura, pur non abbandonando mai troppo la tragicità della realtà abbondano nei testi dell'artista siciliano:
"[...] Nelle chiese abbandonate si preparano rifugi/ e nuove astronavi per viaggi interstellari/ in una vecchia miniera distese di sale/ e un ricordo di me come un incantesimo".
(da I treni di Tozeur)
Dalla Tunisia, non lontana dalla Sicilia di Battiato, si parte col treno ad una velocità irreale che ci porta in mondi paralleli, in dimensioni sconosciute, sempre animati da un desiderio e da una curiosità fatti di ascolto e di speranza:
"Parlami dell'esistenza di mondi lontanissimi/ di civiltà sepolte, di continenti alla deriva./Parlami dell'amore che si fa in mezzo agli uomini/ di viaggiatori anomali in territori mistici... di più [...]"
(da No time no space)
Il superamento dello spazio e del tempo è la ricerca di una dimensione eterna , infinita, che è già evocata da alcune immagini esotiche della realtà finita, nel vissuto di Battiato:
"[...] Dicono di storie di Principesse/ chiuse in castelli per troppa bellezza/ fiori di loto, giardini stupendi/ ... e Leningrado oggi" (così chiamata fino al 1991, fino allo scioglimento dell'Unione Sovietica; dal 1914 al '24 era Pietrogrado; dal 1991 a oggi è San Pietroburgo) "strade dell'Est/ Di notte ancora ti può capitare/ di udire suoni di armonium sfiatati/ e vecchi curdi che da mille anni/ offrono il petto a novene...".
(da Strade dell'Est)
Sembra di sfogliare compendi dei racconti tratti dalle Mille e una Notte. Sembra di viaggiare, come in un sogno, fra l'Anatolia, l'Armenia, l'Iraq (un tempo, Babilonia) e la Siria, in compagnia dei curdi. E sembra di poter mangiare anche noi quei fiori di loto, che nelle credenze antiche della Grecia causavano il raggiungimento dell'oblio. Il viaggio ci porta in Cina, ma anche in Giappone nonché in India, ove foglie e fiori di loto sono ritenuti sacri.
Nonostante continuino a danzare i sufi, monaci islamici (così chiamati perché vestono di suf, cioè di lana) fondati al termine dell'Alto Medioevo e ancora oggi esistenti nell'Iran (un tempo, Persia) o nell'India, la realtà ci sveglia con i suoi caldi venti di guerra:
"[...] Un giorno in cielo, fuochi di bengala... / la pace ritornò;/ ma il re del mondo/ ci tiene prigioniero il cuore./ Echi delle danze sufi... Nelle metro giapponesi, oggi, macchine d'ossigeno./ Più diventa tutto inutile,/ e più credi che sia vero,/ e il giorno della fine/ non ti servirà l'inglese[...]".
(da Il re del mondo)
Chi è il re del mondo? Nei testi evangelici il principe del mondo indica il maligno. Qui, tuttavia, abbiamo il sospetto che ci si riferisca a qualcuno fra gli uomini più potenti o prepotenti...
Dall'altro lato, oltre all'ascolto, Battiato esprime - infine- il bisogno spirituale, liberatorio, di parlare a qualcuno che invece lo trascenda, e che così riveli la sua essenza stessa:
"E ti vengo a cercare/ anche solo per vederti o parlare/ perché ho bisogno della tua presenza/ per capire meglio la tua presenza/ per capire meglio la mia essenza./ Questo sentimento popolare/ nasce da meccaniche divine/ un rapimento mistico e sensuale/ m'imprigiona a te./ Dovrei cambiare l'oggetto dei miei desideri/ non accontentarmi di piccole gioie quotidiane/ fare come un eremita/che rinuncia a sé./ E ti vengo a cercare/ con la scusa di doverti parlare/perché mi piace ciò che pensi e che dici/ perché in te vedo le mie radici. Questo secolo ormai alla fine [...] mi spinge [...] ad [...] Emanciparmi dall'incubo delle passioni/ cercare l'Uno al di sopra del Bene e del Male/ essere un'immagine divina/ di questa realtà./ E ti vengo a cercare/perché sto bene con te/ perché ho bisogno della tua presenza".
(da E ti vengo a cercare).

Dario Coppola

11. Dioniso (o Battiato) che danza

Concentriamoci ora sui testi di Franco Battiato, pieni di immagini vive, di visioni un po' mitologiche, un po' esoteriche, che s'innestano nel flusso di coscienza e nei ricordi spensierati di un'adolescenza felice:
"Le serenate all'istituto magistrale/ nell'ora di ginnastica o di religione [...] per carnevale suonavo sopra i carri in maschera/ avevo già la luna e urano nel leone [...] Lady Madonna I can try/ with a little help from my friends [...]".
(da Cuccurucucù).
La critica, tuttavia, emerge dai testi sarcastici del cantautore, che bacchetta i razionalisti seguaci di s. Ignazio da Loyola, paragonandoli a dei severi monaci buddhisti! E ne fa emergere tutti i tratti più grotteschi, in pochi versi:
"Gesuiti euclidei/ vestiti come dei bonzi per entrare a corte dagli imperatori della dinastia dei Ming [...]".
(da Cerco un centro di gravità permanente).
Battiato ama la danza e cita il ballerino russo, uno dei più grandi di tutti i tempi, morto a metà degli anni cinquanta: Vaslav Nijinskij. In un'immagine eloquente, sempre in versi fulminanti, il cantautore mette in un suggestivo contrasto coreografico il mondo della Russia comunista con quella credente:
"Un vento a trenta gradi sotto zero/ incontrastato sulle piazze vuote e contro i campanili [...] E intorno i fuochi delle guardie rosse accesi per scacciare i lupi/ e vecchie coi rosari./ Seduti sui gradini di una chiesa/ aspettavano che finisse messa e uscissero le donne/ poi guardavamo con le facce assenti la grazia innaturale di Nijinski [...]".
(da Prospettiva Nevski)
E sempre emerge la vena critica di Franco Battiato: si sente la critica delle armi, tanto cara alla filosofia marxiana, e si vede quanto stiano a cuore al cantautore siciliano la denuncia contro la borghesia, e il parteggiare per chi fa la rivoluzione, che dalla politica passa spesso alla religione:"L'ayatollah Khomeini per molti è santità [...] Le barricate in piazza le fai per conto della borghesia/ che crea falsi miti di progresso [...]".
(da Up patriots to arms)
Ed ecco che si entra in una serie di mondi fusi, come in un sogno, senza accorgerci del passaggio dall'uno all'altro. Dalla Grecia classica, dai suoi miti più affascinanti, eccoci, ad un tratto, già in Giappone:
"[...] i desideri mitici di prostitute libiche/ il senso del possesso che fu pre-alessandrino/ la tua voce come il coro delle sirene di Ulisse m'incatena/ ed è bellissimo perdersi in questo incantesimo [...] tutti i muscoli del corpo/ pronti per l'accoppiamento/ nel Giappone delle geishe/ si abbandonano all'amore/ le tue strane inibizioni/ che scatenano il piacere/ lo shivaismo tantrico/ di stile dionisiaco/ la lotta pornografica dei greci e dei latini [...]".
(da Sentimiento nuevo)
Dalle geishe, che non sono solo donne atte a soddisfare i piaceri erotici ma anche servitrici di tè e danzatrici..., dal Giappone, dunque, ci troviamo senza accorgercene, in India: lo shivaismo tantrico è il culto induista di Shiva; il tantra è, in sanscrito, la trama o il testo; ci troviamo in un sincretismo religioso: dall'induismo il tantra è entrato anche nel buddhismo - soprattutto nel Tibet - e ne sono nate sette tantriste, che affermano l'identità di spirito e materia, in cui Shiva è il pene, principio maschile, e Shakti la vagina, quello femminile. Nel testo di Battiato l'Oriente pare accoppiarsi con l'Occidente greco (e latino), che alla fine ritorna nella citazione, in una forma quasi uroborica, sicuramente dionisiaca. Certo, Dioniso che danza è l'icona più atta a esprimere i sentimenti religiosi di Franco Battiato, che ancora dice:
"[...] come le balinesi nei giorni di festa. Voglio vederti danzare come i dervisches tourners/ che girano sulle spine dorsali/ o al suono di cavigliere del Katakali. E gira tutt'intorno la stanza/ mentre si danza. Danza [...] E radio Tirana trasmette/ musiche balcaniche, mentre/ danzatori bulgari/ a piedi nudi sui bracieri ardenti [...] Nei ritmi ossessivi la chiave/ dei riti tribali/ regni di sciamani/ e suonatori zingari ribelli[...]".
(da Voglio vederti danzare)

Dario Coppola

lunedì 3 dicembre 2007

10. Se c'è Dio ci sono anch'io

"Beati sono i santi, i cavalieri e i/ fanti;/ beati i vivi, i morti ma soprattutto i/ risorti". Con queste parole, che sono un vero e proprio manifesto, iniziano Le beatitudini del grande Rino Gaetano. Le suggestioni spirituali, il tono profetico, lo sguardo distaccato dalla realtà, l'amore per le donne e per la vita... sono i temi fondamentali da lui cantati. E Rino ha colto in modo chiaro alla fine degli anni settanta, purtroppo solo affacciandosi sugli anni ottanta, i temi che ancora ci avrebbero visti a discutere, con una differenza: la sua epoca conobbe maggiormente, rispetto a oggi, il sapore della libertà di espressione e dell'innovazione. E i suoi testi cambiarono le mentalità passatiste, tanto da rimanere ancora attuali e, anzi, troppo scomodi ai perbenisti e ai potenti. "Beati sono i ricchi perché hanno il/ mondo in mano./ Beati i potenti e i re e beato chi è/ sovrano./ Beati i bulli di quartiere perché non/ sanno ciò che fanno./ Ed i parlamentari ladri che sicuramente lo sanno./ Beata la guerra, chi la fa e chi la/ decanta" L'ironia può riferirsi forse alla critica di Platone a Omero - non dimentichiamoci che Rino nacque e visse gran parte della sua breve vita nella Magna Grecia, e soprattutto amò quella terra e la sua gente... - ma è indubbia l'attualità di questi versi, che, senza averle viste, sembrano alludere a certe guerre preventive di oggi, oltre che a quelle di ieri... "Ma più beata ancora è la guerra/ quando è santa./ Beati i bambini che sorridono alla/ mamma./ Beati gli stranieri ed i soufflé di/ panna./ Beati sono i frati, beate anche le/ suore/. Beati i premiati con le medaglie/ d'oro./ Beati i professori, beati gli arrivisti, i nobili e i padroni specie se/ comunisti./ Beata la frontiera, beata la finanza/ beata è la fiera ad ogni circostanza./ Beata la mia prima donna che mi ha/ preso ancora vergine./ Beato il sesso libero sì ma entro un/ certo margine./ Beati i sottosegretari, i sottufficiali. / Beati i sottaceti che ti preparano al/ cenone./ Beati i critici e gli esegeti di questa/ mia canzone". Il suo riferimento raggiunge anche noi che scriviamo, come già faceva l'ironia di Cervantes.
Rino seppe amare molto, tanto da raggiungere ancora le ultime generazioni con questa sua passione; ha sempre amato e cantato, anche utilizzando temi mitologici, le donne: da Berta a Maria, da Lucia a Mary, da Maryanna ad Aida, da Jaqueline a Gianna. Tutto questo, anticipando una concezione libera dell'amore:
"Ma la notte, la festa è finita/ evviva la vita/ la gente si sveste/ comincia un mondo/ un mondo diverso/ ma fatto di sesso:/ chi vivrà vedrà".
(da Gianna). Non è una visione materialista, come superficialmente potrebbe apparire. C'è molta spiritualità... c'è una forza nascosta che nel pensiero di Rino Gaetano si muove per produrre immagini, che ancora ci stupiscono per l'intelligenza anticipatrice e la serenità equilibrata, che scaturiva talora dalla difficile accettazione del dolore personale ("Visto che mi vuoi lasciare"), talora dalla lotta continua al fianco degli oppressi ("Metà Africa, metà Europa"), e dal conseguente superamento critico dei problemi sociali, per i quali Rino si è battuto e impegnato come impareggiabile aedo.
"Visto che posseggo/ un panino/ un'aranciata/ ed ho una donna in/ testa/ sia beninteso che/ per pochi intimi/ stasera io darò/ una festa/ e tu che Dio ti/ benedica/ non portarti appresso/ la tua amica/ ma vieni da sola/ perché da solo con/ te grazie a Dio grazie a/ te [...] e dopo un poco ci/ provo e va tutto/ okey/ grazie a Dio grazie a lei".
(da Grazie a Dio, grazie a te).Il tema della festa, già a partire dalla musica orecchiabile e popolare, è molto presente nei testi di Rino, come in una vera liturgia, e supera il momento del dolore con l'amore per la vita nella sempre ironica, perciò efficace, lotta per la vera pace.
"Mi alzo al mattino con una nuova illusione,/ prendo il 109 per la rivoluzione [...] io cerco il rock'n'roll al bar e nei metrò,/ cerco una bandiera diversa senza sangue sempre tersa/ Ma ci ripenso però, mi guardo intorno per un po'/ e mi accorgo che son solo,/ in fondo è bello però [...] in fondo è bella però è la mia guerra e io ci sto".
(da E io ci sto)Sembra di rivedere il fanciullo, emblema dell'oltreuomo che Nietzsche descrive in La Gaia Scienza, nella sua serena accettazione dell'eterno ritorno, simboleggiata dal mordere il serpente uroborico. Rino aveva accettato, fedele a questa terra, i suoi dolori e le sue gioie e ha saputo comunicarcelo:
"Insieme a te vivo il mio momento strano/ mi mordo una mano mi sento divino/ divento un bambino insieme a te/ mi compro un turbante e mi invento un'amante/ ma solo con io solo con io/ solo con io [...]".
(da Solo con io)
Sapeva e sa ancora comunicare continuando a farci cantare Ma il cielo è sempre più blu.
"[...] sempre il gioco è la vita mia/ che poi finirà/ ma se c'è Dio ci sono anch'io/ buon Dio lo sai/ e c'è Dio di notte ti sento ci/ sei [...] e c'è Dio di notte ti sento ti/ voglio ci sei".
(da Ma se c'è Dio)Non è bastato un incidente, quel giugno del 1981, a far tacere la sua voce e a far cessare quello che ci dice ancora.

Dario Coppola
I testi e le immagini contenuti in questo blog sono protetti dalle leggi vigenti sui diritti d'autore (copyright) e si possono citare, in parte, specificando espressamente la fonte, solo per scopi non lucrativi.