lunedì 2 giugno 2008

17. Per la pace una lotta continua



La scelta della vita religiosa, se accompagnata da coerenza e concreta santità ("santo" significa separato, distinto dagli altri per vera eccellenza...) affascina De Gregori:



"[...] Nella tua stanza, sotto il ritratto di Sturzo,/ il crocifisso ti faceva l'occhiolino e tu pregavi con la faccia sul cuscino,/ un po' di pane e un po' di vino./ E nella chiesa l'incenso che brucia se ne va,/ che lingua parla l'agnello che oggi morirà? /e chi lo benedirà... ah aaahh... /un po' di pane e un po' di vino... /Con la tua tonaca e il tuo breviario di Dio sei andato a spasso con la tua bicicletta verso il cielo/ con la tua sciarpa da bambino fin sugli occhi verso il paese dei balocchi/ E nella chiesa l'incenso che brucia se ne va/ che lingua parla l'agnello che oggi morirà/ e chi lo benedirà... ah aaahh".

(da "Vocazione 1 e 1/2" da "Theorius Campus").

I versi del cantautore romano sono solenni nel parlare di Giovanna d'Arco:

"[...] Perché ho visto la Francia, dalla neve al mare,/ e sul piatto della bilancia la mia vita pesare/ e le colombe, i serpenti e gli sciocchi ed il rosso ed il nero/ e questo l'ho cantato con la voce che avevo./ Perché ho visto il mio destino, la mia stella di ragazza,/ sanguinare e bagnarsi sotto la mia corazza/ e dicono che una notte abbia sentito una canzone,/ una voce che chiamava e che diceva il mio nome."

(da "Giovanna d'Arco").

Completiamo così il nostro omaggio a Francesco De Gregori con tre sue vecchie canzoni, riproposte anche nell'album "Tra un manifesto e lo specchio", delle quali riportiamo integralmente i testi:

"Santa Lucia, per tutti quelli che hanno occhi/ e gli occhi e un cuore che non basta agli occhi/ e per la tranquillità di chi va per mare/ e per ogni lacrima sul tuo vestito,/ per chi non ha capito./ Santa Lucia per chi beve di notte/ e di notte muore e di notte legge e cade sul suo ultimo metro,/ per gli amici che vanno e ritornano indietro/ e hanno perduto l'anima e le ali./ Per chi vive all'incrocio dei venti ed è bruciato vivo,/per le persone facili che non hanno dubbi mai, /per la nostra corona di stelle e di spine,/ per la nostra paura del buio e della fantasia./ Santa Lucia, il violino dei poveri è una barca sfondata/ e un ragazzino al secondo piano che canta, ride e stona/perché vada lontano, fa' che gli sia dolce anche la pioggia delle scarpe,/anche la solitudine."

("Santa Lucia" da "Banana Republic").

Il secondo brano di questo nostro trittico conclusivo è una riflessione sull'avvento, sulla venuta di qualcuno... non si sa di chi... ma è indubbio l'inserimento di tale attesa nel brano intitolato "Natale":

"C'è la luna sui tetti e c'è la notte per strada/ le ragazze ritornano in tram ci scommetto che nevica,/ tra due giorni Natale ci scommetto dal freddo che fa./ E da dietro la porta sento uno che sale/ ma si ferma due piani più giù/ un peccato davvero/ ma io già lo sapevo che comunque non potevi esser tu/ E tu scrivimi, scrivimi se ti viene la voglia e raccontami quello che fai se cammini nel mattino/ e ti addormenti di sera e se dormi, che dormi e che sogni che fai./ E tu scrivimi, scrivimi per il bene che conti/ per i conti che non tornano mai se ti scappa un sorriso e ti si ferma sul viso quell'allegra tristezza che c' hai/ Qui la gente va veloce ed il tempo corre piano come un treno dentro a una galleria/ tra due giorni è Natale e non va bene e non va male/ buonanotte torna presto e così sia./ E tu scrivimi, scrivimi se ti viene la voglia/ e raccontami quello che fai se cammini nel mattino/ e ti addormenti di sera e se dormi, che dormi e che sogni che fai."

("Natale" da "De Gregori").

Già Francesco De Gregori aveva cantato la morte di Babbo Natale:

"[...] E la neve comincia a cadere,/ la neve che cadeva sul prato/ e in pochi minuti si sparse la voce/ che Babbo Natale era stato ammazzato. /Così Dolly del mare profondo e il figlio del figlio dei fiori si danno la mano e ritornano a casa, tornano a casa dai genitori. "


(da "L'uccisione di Babbo Natale" da "Bufalo Bill").

Il nostro trittico di testi, citati in toto, si conclude con la presenza, tutt'altro che edulcorata o idealizzata, di colui che ha detto, paradossalmente: "Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada" (Evangelo secondo Matteo, Mt 10,24): è proprio Gesù Cristo. Ma che intendeva? "Chi ha orecchi per intendere, intenda". Intanto noi ascoltiamo ciò che intende De Gregori:

"Gesù piccino picciò, Gesù Bambino,/ fa' che venga la guerra prima che si può./ Fa' che sia pulita come una ferita piccina picciò,/ fa che sia breve come un fiocco di neve./ E fa' che si porti via la malamorte e la malattia,/ fa che duri poco e che sia come un gioco./ Tu che conosci la stazione e tutti quelli che ci vanno a dormire,/ fagli avere un giorno l'occasione di potere anche loro partire./ Partire senza biglietto, senza biglietto volare via,/ per essere davvero liberi non occorre la ferrovia./ E fa che piova un po' di meno sopra quelli che non hanno ombrello/ e fa' che dopo questa guerra il tempo sia più bello./ Gesù piccino picciò, Gesù Bambino comprato a rate,/ chissà se questa guerra potrà finire prima dell'estate,/perché sarebbe bello spogliarci tutti e andare al mare/ e avere dentro agli occhi, dentro al cuore, tanti giorni ancora da passare./ E ad ogni compleanno guardare il cielo/ ed essere d'accordo e non avere più paura,/ la paura è soltanto un ricordo./ Gesù piccino picciò, Gesù Bambino alla deriva,/ se questa guerra deve proprio farsi fa' che non sia cattiva./ Tu che le hai viste tutte e sai che tutto non è ancora niente,/ se questa guerra deve proprio farsi fa' che non la faccia la gente./ E poi perdona tutti quanti, tutti quanti tranne qualcuno,/ e quando poi sarà finita fa' che non la ricordi nessuno."

("Gesù Bambino" da "Viva L'Italia").

Dario Coppola

16. I poeti: angeli musicanti caduti sulla terra



"Passa l'angelo, passa l'angelo/ E nessuno può vedere/ Passa l'angelo, passa l'angelo/ E fa segno di tacere./ E dice sono venuto a sciogliere/ E non a legare/ Sono venuto a sciogliere/ E non a spezzare/ Passa l'angelo, passa l'angelo/ E ti fa segno di andare/ Passa l'angelo, passa l'angelo/ E ti lascia passare/ Passa l'angelo, passa l'angelo/ E ti offre da bere/ Passa l'angelo, passa l'angelo/ E finisce il bicchiere/ E dice sono venuto a prendere/ E non a rubare [...] E dice non devi piangere/ E non ti devi spaventare/ Passa l'angelo, passa l'angelo/ E nessuno può vedere [...] E fa segno di tacere/ Passa l'angelo, passa l'angelo/ E ti offre da bere[...]"
(da "L'angelo" dall'album "Calypsos").

Chi sono gli angeli? Nei secoli l'angelo è divenuto il guardiano, il custode, il protettore individuale di ognuno. L'angelologia ha elaborato fra gli angeli gerarchie. Anche i filosofi neoplatonici rinascimentali li hanno inseriti nelle gerarchie piramidali che emanano dall'Uno, che è Dio. San Tommaso d'Aquino aveva già scritto: "Seraphim vero denominatur ab ardore caritatis" e "Cherubim denominatur a scientia" (Summa theologiae I, q. LXIII, a. 7), per dire che si chiamano Serafini, tra gli angeli, quelli che ardono per l'amore, e Cherubini quelli che si distinguono per la loro sapienza. Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Virtù, Potestà, Principati, Arcangeli, Angeli (la gerarchia più precisa è quella dello Pseudo-Dionigi, nel libro De Caelesti hyerarchia, IV-V secolo): queste sono, ancor prima, definizioni ricavate dal visionario Libro dell'Apocalisse e dalle lettere di Paolo agli Efesini (Ef 6,12) e ai Colossesi (Col 1,16). Tutto questo immaginario ha derivazioni dall'originaria filosofia neoplatonica, ma soprattutto dalle culture e delle religioni antiche. L'angelo, dal greco aggellos, è colui che dà notizie, è il messaggero divino. Conosciamo anche i nomi degli angeli - anzi degli arcangeli - più famosi, cioè a dire Gabri-El (Potenza di Dio), Mica-El (Chi come Dio?) , Rafa-El (Dio guarisce), e infine l'arcangelo scomparso Uri-El (Luce di Dio): si trattava di divinità antiche, che poi vennero assorbite nei culti giudaico, cristiano e islamico. La desinenza -El designa, infatti, la divinità in ebraico. Recita un salmo: "Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi. Sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede" (Sal 90,11-12). Gli angeli sono dunque gli eredi delle divinità positive, benevole e favorevoli all'uomo. Quelle negative, invece, sono confluite nel retaggio satanico, tanto caro a chi, perciò, si preoccupa della musica rock... Tra queste divinità, nella Bibbia ebraica, troviamo citate le antiche divinità malevole e sfavorevoli all'uomo, come Belzebù, Astarte, Belial.

Torniamo ora sui racconti di De Gregori:

"Fu la visione di Anna Maria con il rosario tra le dita/ Ad incantare lo stregone e a fargli cambiar vita/ Lasciò la scena in un vestito grigio, lasciò un messaggio con un sorriso/ Diceva: "Parto per Lione, e cerco un angelo del Paradiso/ "Salì sul treno che portava a Bruxelles, ordinò cognac e croissants/ Fece l'elenco dei suoi beni futili nella carrozza restaurant/ Pensò alle ville e alle piscine, ai pezzi rari da collezione/ E fece un voto come San Francesco per il suo angelo di Lione/ E cantò l'Ave Maria, almeno i versi che ricordava/ Mentre guardava dal finestrino l'ombra del treno che lo portava e ad occhi chiusi sognò quei due fiumi, il Rodano e la Saône/ Simbolo eterno delle due anime maschio e femmina di Lyon/ Restò ad aspettare sul vecchio ponte, pensò all'incontro di un anno fa/ Ma i giorni vanno e diventano mesi, quattro stagioni son passate già/ Ora il suo abito è tutto stracciato, somiglia proprio ad un barbone/ Gira le strade e cerca ad ogni passo il suo angelo di Lione/ Stanotte nella cattedrale mille candele stanno bruciando/ Le tiene accese suor Eva Maria a mano a mano che si van consumando/ E dentro ai vicoli come in sogno trascina il passo lo straccione/ Il vecchio scemo fuori di testa per il suo angelo di Lione/ E cantò l'Ave Maria, almeno i versi che ricordava/ Mentre fissava sui vecchi muri la propria ombra che lo seguiva/ E attraversò quei due sacri fiumi, il Rodano e la Saône/ E l'acqua scura come il mistero di quell'angelo di Lyon."

(testo integrale di "L'angelo di Lyon" dall'album "Per brevità chiamato artista").


E' il realismo che domina sull'aspetto visionario delle immagini del cantautore, sia pure un realismo irrigato da una battente pioggia di spiritualità:

"Ogni giorno c’è un pezzo di strada da macinare/ Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ E una lacrima che sa di pioggia e che sa di sale /Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ Ti aspetterò così come si dice che si deve fare/ In ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ E non sarò mai troppo stanco di stare a aspettare/ Un altro giorno di pioggia che Dio manda in terra/ E non c’è niente di stabilito tutto può cambiare/ Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ E non esiste un cavallo sicuro su cui puntare/ Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ Ogni giorno metto in tavola qualcosa da mangiare/ Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ E certe volte non trovo parole per ringraziare/ Per ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ E ognuno cerca di fermare il tempo e il tempo non si sa fermare/ Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ Ognuno cerca di passare il tempo e il tempo si vede passare/ In ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ A volte mi sento come un prigioniero da liberare/ Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ Ma non ci sono sbarre e non c’è modo di scappare/ In ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ Ogni giorno c’è un pezzo di strada da ritrovare/ Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ E una lacrima da benedire e da conservare/ Per tutti i giorni di pioggia che Dio manda in terra.

(testo integrale di "Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra" da "Per brevità chiamato artista").


Sembra quasi di guardare dipinti come L'Angelus di Millet...

E' un realismo, anzi un neorealismo manieristico, non scevro di citazioni, quasi a evocare così la figura di Pasolini alla quale De Gregori ha dedicato una bellissima canzone:

"Non mi ricordo se c'era luna, e né che occhi aveva il ragazzo,/ ma mi ricordo quel sapore in gola e l'odore del mare come uno schiaffo./ A Pa'. /E c'era Roma così lontana, e c'era Roma così vicina,/ e c'era quella luce che li chiama, come una stella mattutina./ A Pa'. /A Pa'. /Tutto passa, il resto va./ E voglio vivere come i gigli nei campi, come gli uccelli del cielo campare, e voglio vivere come i gigli dei campi, e sopra i gigli dei campi volare."

(testo integrale di "A Pa'").

E' chiara la citazione dell'Evangelo secondo Matteo, al quale Pasolini si era ispirato per realizzare un capolavoro della storia del cinema: "[...] per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete [...] Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?[...] E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro [...] Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta." (Evangelo secondo Matteo, Mt 6, 25-33).

Il Vangelo secondo Matteo... e Pasolini: un suo maestro di vita? un mito? sembra di sì... sicuramente anche un nostro angelo custode. E De Gregori, alla maniera di Pasolini, ama gli ultimi, gli oppressi, gli ultimi, gli affamati e assetati di giustizia, quelli che popolano le nostre strade e fanno la vera storia d'Italia:

"Suona da quindici anni dove lo pagano per suonare/ una vecchia fisarmonica gli puo' bastare/ Ha gli occhi sempre troppo gentili di uno che beve parecchio/ e non si guarda mai alle spalle né o allo specchio/ e vive dentro a un seminterrato con un cane per compagno/ saranno quasi diecimila anni che non fa il bagno/ Non ha diritto a nessuna pensione perché non ha lavorato mai/ ha una faccia da mascalzone ma non vuole guai/ e fischia quando deve chiamare gli amici/ chiede scusa prima di andare via/ scappa sempre quando vede in giro la polizia [...] E i turisti lo chiamano Ulisse/ ma il vero nome chissà qual è/ ma a lui gli va benissimo anche quello e se lo tiene per sé [...] allora suona da quindici anni/ dove lo pagano per suonare/ e una vecchia fisarmonica gli puo' bastare/ la sera quando smette di faticare/ si sente libero come una piuma/ chiude nel fodero la fisarmonica/ e ne accende una e poi pensa/ 'Mannaggia alla musica dopodomani gli dico addio' /ma poi si siede in faccia al golfo di Napoli/ e ringrazia Dio".

(da "Mannaggia alla musica" dall'album "Tra un manifesto e lo specchio").


Dario Coppola

15. Una persona con due nature in quell'Agnello


Francesco De Gregori ha dichiarato che la sua canzone "L'agnello di Dio", anche se è scritta da un non-credente, è piena di fede. Scorriamone il testo, concentrandoci sugli elementi desunti dalla teologia liturgica contenuta nelle formule più note del rito cattolico romano: "Ecco l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo". Secondo la simbologia ebraico-cristiana, con tale metafora si indica il Messia-Cristo, termini che rispettivamente in ebraico e in greco indicano l'Unto (si ungeva, in quel contesto, chi aveva una vocazione regale, sacerdotale o profetica), e Gesù, per i cristiani, è l'Unto per eccellenza, il Cristo appunto (participio passato del verbo greco chrio).
A Dio (YHWH) gli ebrei offrivano sacrifici, immolando su piccoli altari in pietra agnelli.
L'uccisione in croce del Cristo è il sacrificio per eccellenza, secondo i cristiani: è Gesù la vittima, l'Agnello immolato, colui che porta il giogo del peccato su di sé, come espiazione per la redenzione della natura umana. I cristiani sono chiamati a seguire la via intrapresa dal Cristo... Ma, presto, cominciano a stancarsi e a trasformarsi in agnelli teneri solo in apparenza. Ecco dove si inquadra la riflessione di De Gregori, che letteralmente citiamo: "Ecco l'agnello di Dio che viene a pascolare/ scende dall'automobile per contrattare [...] All'uscita della scuola/ ha gli occhi come due monete/ il sorriso come una tagliola/ Ti dice che cosa costa/ Ti dice che cosa ti piace/ prima ancora della tua risposta ti/ dà un segno di pace".
Rileggendo il brano attentamente, soprattutto i versi seguenti, si può cogliere anche un riferimento alla natura divina dell'Agnello di Dio: c'è una volontà, espressa gradualmente, di seguire quell'Agnello (si badi alla maiuscola!) "Oh aiutami a fare come si può/ Prenditi tutto quello che ho/ Insegnami le cose che ancora non/ so, non so/ Dimmi quante maschere avrai [...]". Il termine 'maschera', in greco, si diceva proprio pròsopon, e significa 'sul volto', l'ubicazione della maschera. Nella teologia cristiana, pròsopon designa il concetto di 'persona': Dio si rivela in tre persone, la seconda delle quali ha due nature, quella divina e quella umana, ed è proprio il Cristo, l'Agnello di Dio.
La passione del Cristo, che consiste nelle sofferenze lancinanti alle quali è sottoposto dall'uomo, si rinnova nei cristiani e negli altri uomini: "Ecco l'agnello di Dio/ vestito da soldato/ con le gambe fracassate/ col naso insanguinato/ si nasconde dentro la terra/ tra le mani ha la testa di un uomo[...] Ecco l'agnello di Dio/ venuto a chiedere perdono [...] percosso e benedetto/ ai piedi di una montagna [...] legato sopra un altare [...] che nessuno lo può salvare/ perduto nel deserto - si pensi alle tre tentazioni - [...] senza niente da mangiare [...] senza un posto dove stare".
Nei versi appena scorsi, notiamo un'identificazione del cantautore nell'agnello, e il testo si fa preghiera, emergendo dalla meditazione profonda sin qui giunta all'achmé. E' una preghiera, certamente laica ma preghiera, quella di Francesco De Gregori, che come un agnello fra gli altri agnelli, umani troppo umani (Esopo direbbe che sono migliori degli uomini), si rivolge al modello, all'ideale, all'Agnello divino che, alla fine è ancora invocato: "Regalami i trucchi che fai/ insegnami ad andare dovunque sarai/ sarò/ E dimmi quante maschere avrò/ se mi riconoscerai/ dovunque sarò/ sarai".

Questo articolo di Dario Coppola è tratto dalla rubrica "Religione e Società", da lui curata per il Corriere di Torino e della Provincia, ed è stato pubblicato il 9/11/1996
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