La scelta della vita religiosa, se accompagnata da coerenza e concreta santità ("santo" significa separato, distinto dagli altri per vera eccellenza...) affascina De Gregori:
"[...] Nella tua stanza, sotto il ritratto di Sturzo,/ il crocifisso ti faceva l'occhiolino e tu pregavi con la faccia sul cuscino,/ un po' di pane e un po' di vino./ E nella chiesa l'incenso che brucia se ne va,/ che lingua parla l'agnello che oggi morirà? /e chi lo benedirà... ah aaahh... /un po' di pane e un po' di vino... /Con la tua tonaca e il tuo breviario di Dio sei andato a spasso con la tua bicicletta verso il cielo/ con la tua sciarpa da bambino fin sugli occhi verso il paese dei balocchi/ E nella chiesa l'incenso che brucia se ne va/ che lingua parla l'agnello che oggi morirà/ e chi lo benedirà... ah aaahh".
(da "Vocazione 1 e 1/2" da "Theorius Campus").
I versi del cantautore romano sono solenni nel parlare di Giovanna d'Arco:
"[...] Perché ho visto la Francia, dalla neve al mare,/ e sul piatto della bilancia la mia vita pesare/ e le colombe, i serpenti e gli sciocchi ed il rosso ed il nero/ e questo l'ho cantato con la voce che avevo./ Perché ho visto il mio destino, la mia stella di ragazza,/ sanguinare e bagnarsi sotto la mia corazza/ e dicono che una notte abbia sentito una canzone,/ una voce che chiamava e che diceva il mio nome."
(da "Giovanna d'Arco").
Completiamo così il nostro omaggio a Francesco De Gregori con tre sue vecchie canzoni, riproposte anche nell'album "Tra un manifesto e lo specchio", delle quali riportiamo integralmente i testi:
"Santa Lucia, per tutti quelli che hanno occhi/ e gli occhi e un cuore che non basta agli occhi/ e per la tranquillità di chi va per mare/ e per ogni lacrima sul tuo vestito,/ per chi non ha capito./ Santa Lucia per chi beve di notte/ e di notte muore e di notte legge e cade sul suo ultimo metro,/ per gli amici che vanno e ritornano indietro/ e hanno perduto l'anima e le ali./ Per chi vive all'incrocio dei venti ed è bruciato vivo,/per le persone facili che non hanno dubbi mai, /per la nostra corona di stelle e di spine,/ per la nostra paura del buio e della fantasia./ Santa Lucia, il violino dei poveri è una barca sfondata/ e un ragazzino al secondo piano che canta, ride e stona/perché vada lontano, fa' che gli sia dolce anche la pioggia delle scarpe,/anche la solitudine."
("Santa Lucia" da "Banana Republic").
Il secondo brano di questo nostro trittico conclusivo è una riflessione sull'avvento, sulla venuta di qualcuno... non si sa di chi... ma è indubbio l'inserimento di tale attesa nel brano intitolato "Natale":
"C'è la luna sui tetti e c'è la notte per strada/ le ragazze ritornano in tram ci scommetto che nevica,/ tra due giorni Natale ci scommetto dal freddo che fa./ E da dietro la porta sento uno che sale/ ma si ferma due piani più giù/ un peccato davvero/ ma io già lo sapevo che comunque non potevi esser tu/ E tu scrivimi, scrivimi se ti viene la voglia e raccontami quello che fai se cammini nel mattino/ e ti addormenti di sera e se dormi, che dormi e che sogni che fai./ E tu scrivimi, scrivimi per il bene che conti/ per i conti che non tornano mai se ti scappa un sorriso e ti si ferma sul viso quell'allegra tristezza che c' hai/ Qui la gente va veloce ed il tempo corre piano come un treno dentro a una galleria/ tra due giorni è Natale e non va bene e non va male/ buonanotte torna presto e così sia./ E tu scrivimi, scrivimi se ti viene la voglia/ e raccontami quello che fai se cammini nel mattino/ e ti addormenti di sera e se dormi, che dormi e che sogni che fai."
("Natale" da "De Gregori").
Già Francesco De Gregori aveva cantato la morte di Babbo Natale:
"[...] E la neve comincia a cadere,/ la neve che cadeva sul prato/ e in pochi minuti si sparse la voce/ che Babbo Natale era stato ammazzato. /Così Dolly del mare profondo e il figlio del figlio dei fiori si danno la mano e ritornano a casa, tornano a casa dai genitori. "
(da "L'uccisione di Babbo Natale" da "Bufalo Bill").
Il nostro trittico di testi, citati in toto, si conclude con la presenza, tutt'altro che edulcorata o idealizzata, di colui che ha detto, paradossalmente: "Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada" (Evangelo secondo Matteo, Mt 10,24): è proprio Gesù Cristo. Ma che intendeva? "Chi ha orecchi per intendere, intenda". Intanto noi ascoltiamo ciò che intende De Gregori:
"Gesù piccino picciò, Gesù Bambino,/ fa' che venga la guerra prima che si può./ Fa' che sia pulita come una ferita piccina picciò,/ fa che sia breve come un fiocco di neve./ E fa' che si porti via la malamorte e la malattia,/ fa che duri poco e che sia come un gioco./ Tu che conosci la stazione e tutti quelli che ci vanno a dormire,/ fagli avere un giorno l'occasione di potere anche loro partire./ Partire senza biglietto, senza biglietto volare via,/ per essere davvero liberi non occorre la ferrovia./ E fa che piova un po' di meno sopra quelli che non hanno ombrello/ e fa' che dopo questa guerra il tempo sia più bello./ Gesù piccino picciò, Gesù Bambino comprato a rate,/ chissà se questa guerra potrà finire prima dell'estate,/perché sarebbe bello spogliarci tutti e andare al mare/ e avere dentro agli occhi, dentro al cuore, tanti giorni ancora da passare./ E ad ogni compleanno guardare il cielo/ ed essere d'accordo e non avere più paura,/ la paura è soltanto un ricordo./ Gesù piccino picciò, Gesù Bambino alla deriva,/ se questa guerra deve proprio farsi fa' che non sia cattiva./ Tu che le hai viste tutte e sai che tutto non è ancora niente,/ se questa guerra deve proprio farsi fa' che non la faccia la gente./ E poi perdona tutti quanti, tutti quanti tranne qualcuno,/ e quando poi sarà finita fa' che non la ricordi nessuno."
("Gesù Bambino" da "Viva L'Italia").